mercoledì 16 gennaio 2013

L'ultima ora del mondo





Lampi vermigli, in una notte che sembra sanguinare dal cielo.
L'aria immobile pulsa di energia contenuta ancora per poco.
Il fumo esce dal terreno come il silenzioso respiro di qualche terribile bestia in agguato.
Il silenzio, totale e terribile.

Mi stringo le ginocchia al petto. 
Sento attorno a me il calore di altri corpi umani, tutti stretti in un impotente attesa.
Attendiamo, nell'istante di stasi che precede la fine.
Attendiamo, mentre speranza e orrore si attorcigliano alle nostre anime in spire letali.

Ogni battito pulsa nelle orecchie, gridando la sua unicità.
Ogni stilla di sangue nelle vene sa di essere al suo ultimo giro.

E poi inizia.
Parte con un ciottolo, un lieve movimento, poco più che un tremolio. 
E poi cresce, si allarga, inesorabile come una marea, inarrestabile come una valanga. La Terra intera prende a tremare, a contorcersi, squassata da una forza che la soverchia, la sconvolge, la devasta.
Massi e pietre ci crollano attorno, le montagne si sgretolano in schegge di granito.

Trema la Terra, trema la piuma di vita rinchiusa nei nostri fragili cuori.
E presto il Cielo risponde all'invito.

Dapprima, un fischio lontano, come un ronzio.
Una tensione leve, ma carica di potere, di elettricità statica.
Un brivido sulla pelle, sotto i capelli.
Vorremmo guardarci, ma la paura del possibile ci tiene tutti bloccati, stretti in un cieco abbraccio.

E poi l'aria si tende, ribolle, si gonfia: l'energia si coagula in un unico flusso, 
un vento rovente che cresce di minuto in minuto, finché il ronzio non è un ululato,
 la tensione esplode in tempesta, il tumulto annienta il labile valico dell'orizzonte.
Non esiste più Cielo né Terra, ma un'unica entità che freme, si dibatte, 
si espande e contrae, una belva che azzanna prima di morire.
Nel mezzo, un manipolo di esseri umani.
Pallidi ammassi di cellule e nervi, di paure e di incubi.

Occhi chiusi per non vedere, orecchie tappate per non sentire. Eppure il tatto ci avvisa quando uno di noi viene strappato dal gruppo, fagocitato dalla furia, disperso nell'apocalisse.

Ci stringiamo più stretti, a chiudere il buco.
Ma non si può eludere la morte, se morte è il grido di tutto ciò che ti circonda.

Il ruggito nell'aria diventa assordante, la notte vomita una pioggia acuminata come schegge di vetro,
 ferendo il buio di lampi cremisi. Scariche di pura energia grandinano dal cielo livido,
 il fuoco divampa nell'impatto col suolo.
È il convergere di tutti gli elementi.
È il tutto prima del nulla.
È la fine.

Esalo un sussurro, un'impercettibile melodia. Inudibile a chiunque, anche ai pochi che mi ancora mi stanno vicino, si disperde prima ancora di varcare la soglia delle labbra. 
Morta eppure mai nata.

Il boato cresce, si gonfia: di colpo tutto è rumore. 
Tuoni, stridori, esplosioni, la materia si plasma in singola percezione uditiva assordante, totalizzante. 
Buio, luce, pioggia, vento tutto si contrae in un'unica convulsa pulsazione.
Il mondo piange la sua morte in un unico grido.
Un lampo, un'esplosione primordiale.
Poi nulla esiste più.



Nel nulla del poi, un solo rumore.
Un flebile canto, un'antica ninna-nanna.
E il primo vagito di un neonato.

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