Lampi
vermigli, in una notte che sembra sanguinare dal cielo.
L'aria
immobile pulsa di energia contenuta ancora per poco.
Il fumo
esce dal terreno come il silenzioso respiro di qualche terribile
bestia in agguato.
Il
silenzio, totale e terribile.
Mi
stringo le ginocchia al petto.
Sento attorno a me il calore di altri
corpi umani, tutti stretti in un impotente attesa.
Attendiamo,
nell'istante di stasi che precede la fine.
Attendiamo,
mentre speranza e orrore si attorcigliano alle nostre anime in spire
letali.
Ogni
battito pulsa nelle orecchie, gridando la sua unicità.
Ogni
stilla di sangue nelle vene sa di essere al suo ultimo giro.
E poi
inizia.
Parte
con un ciottolo, un lieve movimento, poco più che un tremolio.
E poi
cresce, si allarga, inesorabile come una marea, inarrestabile come
una valanga. La Terra intera prende a tremare, a contorcersi,
squassata da una forza che la soverchia, la sconvolge, la devasta.
Massi e
pietre ci crollano attorno, le montagne si sgretolano in schegge di
granito.
Trema
la Terra, trema la piuma di vita rinchiusa nei nostri fragili cuori.
E
presto il Cielo risponde all'invito.
Dapprima,
un fischio lontano, come un ronzio.
Una
tensione leve, ma carica di potere, di elettricità statica.
Un
brivido sulla pelle, sotto i capelli.
Vorremmo
guardarci, ma la paura del possibile ci tiene tutti bloccati, stretti
in un cieco abbraccio.
E poi
l'aria si tende, ribolle, si gonfia: l'energia si coagula in un unico
flusso,
un vento rovente che cresce di minuto in minuto, finché il
ronzio non è un ululato,
la tensione esplode in tempesta, il tumulto
annienta il labile valico dell'orizzonte.
Non
esiste più Cielo né Terra, ma un'unica entità che freme, si
dibatte,
si espande e contrae, una belva che azzanna prima di morire.
Nel
mezzo, un manipolo di esseri umani.
Pallidi
ammassi di cellule e nervi, di paure e di incubi.
Occhi
chiusi per non vedere, orecchie tappate per non sentire. Eppure il
tatto ci avvisa quando uno di noi viene strappato dal gruppo,
fagocitato dalla furia, disperso nell'apocalisse.
Ci
stringiamo più stretti, a chiudere il buco.
Ma non
si può eludere la morte, se morte è il grido di tutto ciò che ti
circonda.
Il
ruggito nell'aria diventa assordante, la notte vomita una pioggia
acuminata come schegge di vetro,
ferendo il buio di lampi cremisi. Scariche di pura energia grandinano dal cielo livido,
il fuoco
divampa nell'impatto col suolo.
È il
convergere di tutti gli elementi.
È il
tutto prima del nulla.
È la
fine.
Esalo
un sussurro, un'impercettibile melodia. Inudibile a chiunque, anche
ai pochi che mi ancora mi stanno vicino, si disperde prima ancora di
varcare la soglia delle labbra.
Morta eppure mai nata.
Il
boato cresce, si gonfia: di colpo tutto è rumore.
Tuoni, stridori,
esplosioni, la materia si plasma in singola percezione uditiva
assordante, totalizzante.
Buio, luce, pioggia, vento tutto si contrae
in un'unica convulsa pulsazione.
Il
mondo piange la sua morte in un unico grido.
Un
lampo, un'esplosione primordiale.
Poi
nulla esiste più.
Nel
nulla del poi, un solo rumore.
Un
flebile canto, un'antica ninna-nanna.
E il
primo vagito di un neonato.
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