lunedì 28 aprile 2014

[provini WirtersXfactor] Annalisa Rizzi

Nome: Annalisa Rizzi
Età: 35 anni
Provenienza: Taranto


La Caduta

L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte. <<E' ora di muoversi>>, disse.

Guardai la mia sorella maggiore di due anni che armeggiava con gli spallacci dello zaino. <<Ele, non sono certa che possa funzionare.>>
Lei si fermò. I suoi capelli ramati parevano accendersi alle prime luci dell’alba. Non ero certa che i miei, del suo stesso colore, potessero fare un simile, meraviglioso effetto. <<Pamela, se hai un’idea migliore ti ascolto>>, rispose aggrottando le sopracciglia. <<Ma, come vedi, non mi sembra che abbiamo molta scelta.>>
Mi guardai attorno. La strada di periferia era deserta, ma non era per via dell’ora. Era deserta ormai da giorni, come – apparentemente - il resto del mondo.
Quattro giorni, per la precisione.
Ed era successo tutto così, senza che ce ne fossimo accorte. Una mattina ci risvegliammo, e i nostri genitori non erano nella loro camera, né in nessun’altra stanza della casa. Tentammo di rintracciarli al cellulare, ma senza risposta. Provammo altri numeri, compresi quelli del pronto intervento e bussammo alle porte dei vicini, senza esito nell’uno o nell’altro caso; uscimmo in strada, ma non incontrammo nessuno.
Neanche radio e TV funzionavano.
Per quello che ne sapevamo, tutta l’Umanità era scomparsa nel nulla, lasciandoci orfane in quella solitudine inspiegabile e spaventosa.
All’inizio mi lasciai prendere dal panico: piansi e gridai. Ma Elena – naturalmente, e chi altri? Sempre Elena, l’impeccabile, sicurissima, lodevole Elena – mi scosse e mi fece tornare in me. Prese in pugno la situazione: aveva deciso per entrambe.
Preparammo gli zaini con l’essenziale (il tutto stilato nei minimi dettagli da lei, si capisce) e uscimmo, senza tralasciare gli affilatissimi coltelli da cucina che la mamma teneva in un cassetto.
Ed ora non potevamo che vagare, dall’alba al tramonto, in cerca di qualcuno.
Osservai l’espressione contrariata di mia sorella. <<E se… non fosse rimasto nessuno?>> Azzardai.
Elena scosse la testa. Tirò fuori dallo zaino un apparecchio VHF portatile e lo accese sul canale 16. <<Ascolta: non so se ci sia qualcuno o meno. Non so cosa sia successo e perché. Ma se è rimasto qualcuno, ci conviene cercare. Potremmo rimanere a casa, aspettando che qualcosa cambi. Ferme per anni magari, senza risolvere nulla. Ma…>> fissò lo sguardo dritto nei miei occhi <<se facessimo così, credo che nell’attesa impazzirei.>>
Mi guardai i piedi. <<Già>> ammisi <<immagino che impazzirei anch’io.>>
Ci dirigemmo alle biciclette lasciate poco lontano. La sera prima, assicurandole con la catena e il lucchetto, suscitai lo scherno di mia sorella. <<Non credo che ci sia il rischio che ce le rubino>> disse.
Ma era un’abitudine. Una delle tante a cui non volevo rinunciare. Per lo stesso motivo per cui continuai a scegliere un bagno lungo la strada che percorrevamo, oppure a nascondermi per cambiarmi i vestiti. Se avessi perso queste accortezze, temevo che avrei perso anche se stessa.
Mi scocciava ammetterlo, ma avere Elena vicina era una fortuna immensa. I rapporti fra di noi non erano mai stati idilliaci, ma in quel momento ero incredibilmente grata della sua vicinanza. Non so cosa avrei fatto se non avessi avuto lei. Se non avessi avuto nessuno.
Cominciammo a pedalare, in silenzio.
La strada lasciò la città e pian piano iniziò a serpeggiare nella campagna. Tutt’attorno il verde riluceva al sole primaverile.
Non avevamo una meta precisa: Elena voleva andare, tutto qui. Ed io con lei.
Il VHF emetteva di tanto in tanto qualche scarica elettrostatica che ci faceva sobbalzare… ma per il resto, taceva imperterrito. L’orizzonte era limpido e deserto.
<<Fermiamoci su quella piazzola>> proruppe Elena nel silenzio, quando l’aria calda cominciò a serrare le gole. <<C’è un po’ d’ombra.>>
Ci dividemmo una bottiglietta d’acqua, tracannandola come due assetate nel deserto. Il sole ormai picchiava duro.
<<Se non sbaglio, c’è una stazione di servizio più avanti>> Esordii. <<Mi sembra che ci sia anche un bar. Non credo che qualcuno protesterà, se prendiamo qualcosa.>>
Elena mi sorrise. Fu il primo vero sorriso che mia sorella mi rivolgeva da quando ci eravamo svegliate quattro giorni prima… O forse da più tempo ancora, riflettei. Elena non mi sorrideva così da non ricordo quanto.
<<Bene!>> Mi rispose allegramente <<Allora andiamo a vedere se c’è qualcosa di buono!>>
Si rimise in sella e cominciò a pedalare.
La seguii. Pedalai con vigore per raggiungerla, fino a che, inspiegabilmente, persi l’equilibrio e caddi.
Non ho mai provato nulla di più orribile. Caddi per un periodo senza tempo. La vista si annebbiò e le orecchie cominciarono a ronzare, mentre coglievo l’ultimo debole eco della voce di Elena che mi chiamava.
Fu come se venissi risucchiata in un buco nero, apertosi improvvisamente sotto di me. Sentivo il mio corpo perdere qualsiasi appiglio e precipitare, senza poter più fare affidamento su udito e vista.
Cadevo e cadevo e cadevo e cadevo.
Stavo lasciando Elena da sola, precipitando in un vuoto che non sapevo dove mi avrebbe condotto.
Sto ancora aspettando di saperlo.
Sto ancora cadendo, rinchiusa dentro me stessa. In questa caduta non ho fatto che domandarmi se è successa la stessa cosa anche a tutti gli altri. Se anche loro stanno cadendo. Se prima o poi finirò da qualche parte.
Se Elena sta ancora pedalando, diretta verso chissà dove.

Se prima o poi la rivedrò.

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