lunedì 17 dicembre 2012

Orme



Piove, fuori dalla finestra.
Una pioggia uggiosa e un po' inutile, come uggiosa e un po' inutile è questa giornata di metà dicembre.
Otto giorni a Natale, cinque all'esame. E quando tutti i tuoi pensieri si dovrebbero concentrare sullo studio, ecco che la tua vita si apre come una scatola e salta fuori un orribile pupazzo sghignazzante che rimbalza su una molla. 
Ecco, puoi sentirlo ridere. Ridere di te, che volendo o non volendo sei una cassa di risonanza per quello che provi, di te che amplifichi tutto e vibri di ogni alterazione che senti attorno, del tuo stupido cuore-diapason che non ti lascia requie finché non trovi la nota giusta. 
A trovarla, poi, questa nota. A volte pensi che neanche esista. 
Perché ci sono giorni in cui sembra che tutto ciò che fai è un errore, che cammini su un tappeto di uova già rotte. 
Giorni in cui tornano tutte le turbe adolescenziali che non hai mai avuto, in cui al diavolo lo studio, l'esame e tutto, non puoi fare altro che chiuderti in casa ad ascoltare musica deprimente e svuotarti il cuore delle troppe emozioni che ci rimbalzano dentro, rinchiudendole ognuna in una parola.
E così ti ritrovi per le mani una mezza paginetta di qualcosa che non è un racconto, non è un diario, non è una confessione sussurrata a orecchi invisibili. 

Perché forse non è il risultato che cerco, ma il processo.
Scrivo per liberare qualcosa.
E le parole sono le orme che il qualcosa lascia mentre se ne va. 


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